Qual è il viaggio che ti ha cambiato la vita?
Il viaggio che mi ha cambiato la vista è stato nel lontano 1988 da Srinagar nel Kashmir a Lee nel Ladak anche se un viaggio che desidero raccontare è il circuito con destinazione l’altopiano della Puna.
Siamo partiti da Salta, con nuovi mezzi adatti alle polverose e impervie strade dell’altopiano andino e dopo 170 km arriviamo a San Antonio de los Cobres, da dove inizia il nostro lento avvicinamento all’altopiano. Ci rendiamo immediatamente conto, a mano a mano che si sale di quota e ci allontaniamo dalle zone abitate, che il paesaggio che ci circonda cambia progressivamente.
Attraverso l'Abra de Alto Chorrillos a 4560 m.s.l.m., il Salar de Pocitos, le 7 Curve, il Devil's Desert e Devil's Salt Flat arriviamo, verso sera, a Tolar Grande, a 3.500 m.s.l.m., dopo aver percorso 450 km di strade sterrate. Il piccolissimo villaggio minerario, circondato da colline rosse e ocra, ci ricorda, per la sua struttura urbanistica, le cittadine del vecchio West.
Ma…cos’è la Puna?
Per chi non lo sapesse, stiamo parlando di uno dei pochi ecosistemi ancora intatti del pianeta, sconosciuto al turismo di massa, alla maggior parte dei viaggi organizzati e alle guide turistiche, ma proprio per questo di una rara e sconvolgente bellezza. Si tratta nello specifico di un altopiano la cui altitudine, tra picchi e depressioni, oscilla tra i 3.400 e i 4.600 metri sul livello del mare, circondato da diverse catene montuose le cui cime arrivano a toccare anche i 6.000 metri. La varietà degli ambienti naturali è sorprendente: si passa da paesaggi lunari fatti di alte dune e crateri fino a limpidi laghi salati e lagune color smeraldo, senza dimenticare le distese di basalto dal tipico colore nero e le zone dal terreno argilloso.
Grazie alla scorrevole strada asfaltata raggiungiamo molto velocemente San Antonio de los Cobres dove facciamo la pausa pranzo. Quasi tutto il territorio visitato fin qui è disseminato di Cairn, piccole costruzioni di pietre impilate a secco, o cumuli di sassi. Sono usati talvolta per segnare i percorsi ma, secondo la tradizione dei popoli Quechua, sono dedicati alla dea Pachamama, la Madre Terra.
Velocemente si sale al passo Abra de Gallo dove i sintomi dell’altura possono iniziare a colpire, fortunatamente nessuno di noi avverte malesseri. Qui il vento è forte, e anche per una veloce foto si può passare dal caldo del sole al freddo intenso ma gli scenari iniziano a farsi paradisiaci. Scendiamo per il Salar de Pocitos quasi al confine con il Cile.
Un tempo molti treni percorrevano queste rotaie trasportando minerali, la ferrovia da Salta ad Antofagasta via Tolar Grande era la terza più alta del mondo. In questa foto, un passo ferroviario oltre quota 3.000 metri. La chiusura della miniera di zolfo a Mina Julia e la concorrenza del trasporto su gomma, hanno successivamente ridimensionato l'importanza di questa linea ferroviaria, anche se esistono progetti per riutilizzarla a pieno ritmo, sia a scopo turistico e sia per il trasporto della merce. Attualmente esiste solo servizio passeggeri, limitatamente alla tratta tra Salta e Polvorilla (stazione poco più in basso rispetto a questo passo).
Ancora una sosta prima di addentrarci nel cuore della Puna, un piccolo specchio di acqua a quota 3200 metri dove, in estate è possibile osservare alcuni fenicotteri rosa, oltre naturalmente alle vigogne che invece sono presenti tutto l'anno e quasi ovunque.
Uno scenario marziano, ma siamo sul pianeta Terra, nella Puna salteña uno dei luoghi magici del nord dell’Argentina. È lì che si estende l’insolito e pittoresco Desierto del Diablo, che più che il deserto del diavolo è un paradiso per gli occhi di chi se lo trova davanti all’improvviso. Paesaggio arido, terra colorata dai minerali e montagne che in alcuni casi assumono la forma delle piramidi. Del tutto disabitato, è a venti chilometri da Tolar Grande, il paesino abitato più vicino che conta meno di duecento anime solitarie. Il Deserto del diavolo, luogo davvero surreale, ha una estensione di circa 80 chilometri quadrati a una altitudine di 3.500 metri e dice bene chi lo definisce uno dei luoghi più strani dell’Argentina. Non è lontano dal Salar de Pocitos e tranne insetti e vigogne, sono poche le forme di vita presenti per le condizioni estreme. Durante l’estate si possono raggiungere i 30 gradi, mentre nei mesi invernali la temperatura arriva anche a toccare i 20 gradi sotto lo zero. Ad ogni modo, è caratterizzato da una decisa escursione termica. Lo attraversiamo nel silenzio rotto solo dal rumore del vento, in auto si percorre poco più di un chilometro, tra dune fossili che hanno più di dieci milioni di anni e migliaia di cime di argilla e cristalli di gesso. C’è da fermarsi e osservare, gli occhi saranno ripagati dalla fatica di arrivarci.
La mattina presto lasciamo Tolar Grande per visitare una piccola laguna di alta montagna conosciuta come Ojos de Mar ("occhi di mare") dove una distesa di sale culmina in una serie di pozzi profondi alcuni metri, pieni di acqua ipersalina estremamente limpida. Oltre a rappresentare una spettacolare curiosità geologica, questi pozzi vengono studiati in quanto ospitano un rarissimo organismo unicellulare presente in pochissimi luoghi del pianeta, parliamo degli stromatoliti, antichissimi batteri produttori di ossigenoIl Cono de Arita è uno strato-vulcano dell’altezza di circa duecento metri e per la sua forma è considerato il cono naturale più perfetto del pianeta. In merito alla sua formazione, negli anni sono state formulate diverse ipotesi, tra sapere archeologico e congetture leggendarie. Si ritiene, senza tuttavia certezza, che il cono sia stato luogo di cerimoniale religioso e, forse, gli abitanti di questa regione vi vivevano prima dell’arrivo degli invasori Inca, provenienti dal nord. In ogni caso la sua origine è del tutto naturale.Nei primi anni del Ventesimo secolo si riteneva che solo l’uomo potesse erigere un cono così perfetto. Sono stati gli studi successivi ad accertare la sua origine assolutamente naturale. Gli esperti ritengono che sia nato da un piccolo vulcano privo della forza necessaria per espellere la lava fino in superficie, facendole oltrepassare lo strato di rocce. Il materiale che circonda il cono è ricco di sale nero, portato in superficie dagli antichi flussi di magma regalando così all’umanità, un sito spettacolare. A ogni modo, il Cono de Arita è un vulcano innocuo. La scoperta del Cono di Arita si deve ad una serie di resti archeologici. Già nell’antichità, infatti, questa struttura fenomenica era permeata da crescente ammirazione, mista a sconcerto.
Nel mese di agosto rivive, in diversi paesi dell’America Latina, il rituale della terra, un rituale che sopravvisse alla colonizzazione spagnola: la festa della Pacha Mama, Madre Terra. Quindi agosto viene considerato come il primo mese dell’anno. Pachamama è una tradizione antichissima delle popolazioni andine. Rientrati a Tolar Grande dopo l’escursione al Cono di Arita, veniamo invitati dalla padrona di casa ad assistere al rito che durerà fino a tarda sera. Entratinel cortile di casa, vediamo un gruppo di persone radunate attorno a una buca scavata nel terreno. Dopo aver recitato in raccoglimento la loro invocazione vi seppelliscono i loro doni alla Madre Terra: alcolici, frutta, ortaggi, riso, sigarette e foglie di coca, di cui hanno tutti le guance gonfie, non prima, però, di aver recuperato ciò che rimane delle offerte sotterrate lo scorso anno. Si passano l’un l’altro una ciotola contenente un miscuglio di tutte le bevande che hanno radunato, alcoliche e non.
Anche noi veniamo coinvolti, a turno, nel rito. Il tono delle voci è sommesso per rispettare la sacralità del momento. Il silenzio è il suono tipico della Puna.
Così recita una antica preghiera: "I suoi figli ballano e cantano in questa giornata interminabile e alla fine le chiedono perdono per i tanti danni: Terra saccheggiata, Terra avvelenata, e la supplicano di non castigarli”.
Ultimo giorno nella Puna ma le sorprese non sono finite. Ci svegliamo presto perché oggi dovremo percorrere circa 450 km di piste per rientrare a Salta. La nostra vacanza è quasi terminata, il giorno successivo partiamo per Buenos Aires per poi rientrare in Italia.”
Cosa significa per te viaggiare?
Per me viaggiare significa ampliare la mente.